Quei minerali sporchi di sangue che finiscono nei nostri smartphone: il caso del cobalto

Amnesty International e Afrewatch denunciano le gravi violazioni di diritti umani che si trovano dietro l’estrazione di cobalto nella Repubblica Democratica del Congo, il Paese che produce circa il 50 percento di questo minerale a livello mondiale. Il rapporto è il primo resoconto completo sulle modalità attraverso cui il cobalto entra nella catena di fornitura di molti dei marchi di elettronica leader a livello internazionale.
I ricercatori hanno intervistato 87 minatori di cobalto, 17 dei quali bambini, lavoratori in cinque siti minerari nel sud della Repubblica Democratica del Congo. Essi hanno inoltre intervistato 18 commercianti di cobalto e seguito i veicoli di minatori e commercianti che portavano il minerale dalle miniere ai mercati dove le imprese più grandi lo acquistano. Il rapporto mostra che la stragrande maggioranza dei minatori trascorre lunghe ore ogni giorno a scavare roccia per tirarne fuori cobalto, senza alcun dispositivo di protezione come guanti, abiti da lavoro o maschere per proteggersi da malattie polmonari e/o epidermiche. I bambini intervistati hanno riferito che essi lavorano fino a 12 ore al giorno nelle miniere, trasportando carichi pesanti per guadagnare tra uno e due dollari al giorno. Nel 2014, secondo i dati dell’UNICEF, circa 40.000 bambini hanno lavorato nelle miniere del Sud della Repubblica Democratica del Congo, molti dei quali proprio nell’attività di estrazione del cobalto. I minatori affrontano quotidianamente il rischio di subire gravi danni alla salute o di essere vittime di incidenti mortali. Solo tra Settembre 2014 e Dicembre 2015, secondo i pochi dati che vengono resi pubblici, almeno 80 minatori artigianali sono morti sotto terra nelle miniere della Repubblica Democratica del Congo.
Il rapporto fornisce un’analisi dettagliata dei movimenti del cobalto incriminato lungo tutta la filiera produttiva. I commercianti acquistano il minerale nel Sud della Repubblica Democratica del Congo, dove la pratica del lavoro minorile è particolarmente diffusa, per poi venderlo alla CDM – Congo Dongfang Mining, una società interamente controllata da Huayou Cobalt, gigante cinese nel settore dei minerali. Le indagini condotte da Amnesty mostrano come queste due società cinesi lavorino il cobalto prima di venderlo ai produttori di componenti delle batterie in Cina e Corea del Sud, i quali a loro volta lo rivendono alle grandi multinazionali dei dispositivi elettronici, tra cui le famose Apple, Microsoft, Samsung, Sony, Daimler e Volkswagen. Amnesty International ha contattato 16 di queste multinazionali e nessuna di queste è in grado di fornire dettagli sufficienti per verificare da dove provenga il cobalto presente nei loro prodotti.
Oggi non esiste alcun tipo di regolamento relativo al commercio di cobalto e quest’ultimo minerale non è contemplato né dal Dodd Frank Act degli Stati Uniti, né dalla bozza di regolamento sul commercio dei minerali dei conflitti in fase di negoziazione in Unione Europea che comprende tungsteno, stagno, tantalio ed oro. Proprio per fermare le violazioni di diritti umani ed il criminale commercio internazionale legato all’attività estrattiva in zone di conflitto e/o ad alto rischio, FOCSIV con CIDSE prosegue la campagna europea sui Minerali dei conflitti chiedendo ai leader europei di assumersi la responsabilità di votare un regolamento ambizioso, inclusivo e che preveda dei comportamenti vincolanti obbligatori per gli attori economici che operano in tutta la filiera produttiva legata al settore minerario, prevedendo di poterlo ampliare ad altri minerali oltre a quelli già contemplati, tra cui appunto il cobalto.
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