RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA, TRA INCENTIVI E REGOLE NON VINCOLANTI
Focsiv è attenta alla questione del rispetto dei diritti umani da parte del mercato, delle imprese, a livello locale, sui nostri territori, così come a livello internazionale, in particolare nei paesi del sud. Perché tutto è legato. Molte volte sono le imprese transnazionali a imporre condizioni di lavoro insostenibili lungo le catene del valore. Come si mostra nel rapporto presentato da GCAP Italia, di cui Focsiv è membro. E’ in questo quadro che riprendiamo l’articolo di Nicoletta Dentico sulla negoziazione del trattato ONU per norme vincolanti sulle imprese transnazionale per il rispetto dei diritti umani.
“Nell’era degli obiettivi dell’ONU sullo Sviluppo Sostenibile (SDGs) nel tempo della responsabilità sociale d’impresa che ha aperto nuove prospettive di mercato per le aziende, c’è chi non si fa affatto prendere dall’euforia del branding della sostenibilità e chiede altre regole del gioco, per definire il controverso rapporto tra diritti umani e imprese.
Quel passo avanti nel 2014. Mi riferisco alla alleanza globale dei movimenti sociali e delle organizzazioni (ambientali, sindacali, religiose) che si è ritrovata dal 15 al 21 ottobre scorso a Ginevra per la quarta sessione del Gruppo di Lavoro Intergovernativo (Inter-Governmental Working Group, IGWG) creato in seno al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite con l’intento di “elaborare uno strumento internazionale legalmente vincolante per regolamentare, secondo il diritto internazionale in materia di diritti umani, le attività delle imprese multinazionali e di altri soggetti imprenditoriali”. Così recita il testo della storica risoluzione che ha avviato questo nuovo percorso diplomatico il 26 giugno 2014. Per la prima volta, dopo la dissoluzione nel 1992 della Commissione dell’ONU sulle Imprese Transnazionali, un corpo intergovernativo si cimenta di nuovo nel tentativo di normare questa materia.
I principi-guida dell’ONU sui diritti umani. E’ un fatto incoraggiante che il dibattito internazionale sulle responsabilità delle imprese in materia di diritti umani stia guadagnando rinnovata attenzione. E anche necessario. Dal 2011, vige l’ approccio volontario dei cosiddetti Principi Guida dell’ONU su business e diritti umani. Questi principi dovrebbero orientare aziende e governi verso una globale decodifica della responsabilità sociale di impresa, mescolando incentivi di mercato e raccomandazioni non vincolanti. Ma hanno finora dimostrato una certa inefficacia nello scenario di una globalizzazione economica molto spinta, e deregolamentata. Così, il catalogo degli orrori continua.
Il conteggio delle violazioni dei diritti da parte delle imprese. Violazioni dei diritti del lavoro e dell’ambiente, che assumono le forme della modernità. Dagli scandali che hanno squarciato l’irreprensibilità di aziende come la Volkswagen, alle notizie sulle strategie di elusione fiscale di colossi come Google, Starbucks, IKEA, alle contaminazioni irreversibili di immensi territori nei rapporti che studiano gli effetti sulla salute degli abusi delle imprese minerarie in America Latina. Per non parlare di fenomeni come land e water grabbing, l’accaparramento di terre e fonti idriche sulla base di accordi segreti, quando non illegittimi. C’è chi, come l’università di Maastricht, si è cimentato a contarle, le violazioni dei diritti da parte delle imprese, identificando 1.800 istanze giudiziarie tra il 2005 e il 2014. Capita però che le multinazionali operino fuori dalla giurisdizione dello Stato in cui hanno sede legale, attraverso una sapiente ingegneria di holdings e affiliate nei paradisi fiscali su cui transitare documenti, diritti di monopolio e flussi di denaro. Gli esperti definiscono bolla di immunità la sempre mutante ricerca di uno spazio esente da rischi di sanzioni. Non c’è che l’imbarazzo della scelta, racconta ogni anno il rapporto Dirty Profits.
Il “No” di Usa e UE a norme vincolanti. Sulla spinta di Ecuador e Sudafrica, Paesi che hanno sperimentato sulla propria gente gli abusi delle grandi corporations, il Consiglio dei Diritti Umani è riuscito a convergere sulla necessità di colmare il vuoto nella giurisprudenza internazionale nei confronti delle imprese. Da questa faticosa iniziativa scaturisce la sessione di Ginevra di ottobre, che per la prima volta è entrata nel vivo del negoziato multilaterale su una bozza zero di testo del trattato. Con l’ostracismo di Stati Uniti e Unione Europea, ostili entrambi all’idea di norme vincolanti.
Un esercizio diplomatico in salita. Un percorso in salita quindi per questo esercizio diplomatico, che di certo non è contro il settore privato. Le aziende che operano secondo modelli di business autenticamente responsabile – e non sono poche – condividono la necessità di un terreno di gioco disciplinato. Sono infatti le prime vittime di un mercato senza regole, dal quale è molto improbabile ottenere giustizia. I governi, sempre più affaccendati intorno agli obiettivi della agenda 2030, possono passare dalle parole ai fatti. L’Italia è rientrata il 12 ottobre nel Consiglio dei Diritti Umani: può svolgere d’ora in poi un ruolo decisivo. E’ troppo sperare che intenda marcare su questo terreno il tanto annunciato cambiamento?”
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Consulta l’Agenda 2030 e i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile