Ridurre il consumo e la produzione di carne per il raggiungimento dei nuovi obiettivi climatici: il caso della Svezia

Non è sufficiente innovare le tecnologie per ridurre le emissioni di gas serra prodotte dal settore zootecnico, ma è indispensabile diminuire il consumo e quindi cambiare la nostra dieta: questo il messaggio principale di uno studio del Food Policy Journal.
Nel mese di dicembre 2015, alla conferenza ONU sul Clima COP21 di Parigi, quasi 200 nazioni hanno stabilito l’obiettivo ambizioso di fermare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 ° C rispetto ai livelli pre-industriali, con un riferimento a un target più basso e di lungo termine che è quello di 1.5° C. Il raggiungimento di tale obiettivo comporta per i singoli Stati alcuni cambiamenti nelle attività produttive domestiche; lo studio pubblicato dal Food Policy Journal analizza in che modo dovrà variare la produzione e il consumo di carne in Svezia per adempiere agli obblighi previsti dall’Accordo di Parigi.
Per il perseguimento dell’obiettivo di 1.5° C si rendono necessarie profonde riduzioni nelle emissioni di gas a effetto serra, tanto in anidride carbonica proveniente dall’utilizzo di combustibili fossili quanto in metano e protossido di azoto derivanti da attività agricole e simili. Il bisogno di riduzione delle emissioni è certo, ma ancora poco sappiamo circa il potenziale di mitigazione dei gas serra in agricoltura, in particolare per quanto riguarda gli effetti combinati dei progressi tecnologici e delle variazioni nella dieta alimentare. Nello studio si stima la misura in cui alcune variazioni nelle tecnologie della produzione e nella domanda da parte dei consumatori possano ridurre le emissioni di gas a effetto serra legate al settore alimentare svedese, in modo da soddisfare l’obiettivo temperatura di COP 21.
Nell’ambito delle attività produttive agricole della Svezia, lo studio mostra che le emissioni di metano e protossido d’azoto possono essere ridotte a livelli accettabili tramite investimenti che possano migliorare la produttività del settore agricolo e attraverso l’applicazione di misure specifiche di mitigazione. Con una chiave di lettura ottimistica questi investimenti potrebbero ridurre di circa il 50 percento le emissioni di metano e ossido di azoto legate al settore alimentare. Tuttavia sono necessarie anche importanti variazioni nella dieta alimentare e per questo si rendono molto probabilmente inevitabili forti riduzioni nel consumo di carne bovina, mentre il consumo pro-capite di carne di maiale e pollo può mantenersi costante per mantenere i valori di temperatura all’interno degli obiettivi climatici. Diversa invece è la questione che riguarda i prodotti lattiero caseari, il cui consumo può restare invariato solo se accompagnato da sostanziali progressi in innovazione tecnologica della produzione. Poca importanza invece viene affidata alla riduzione degli scarti alimentari in quanto, secondo gli esperti autori dello studio, taglierebbe le emissioni solo di un ulteriore 1-3%.
Guardando all’insieme degli stati dell’Unione Europea, la Germania si ritrova in cima alla lista in termini di consumo di carne, assieme a Danimarca, la Spagna e il Portogallo. Secondo i dati Eurostat la Germania è leader anche nella produzione zootecnica: il maggior numero di allevamenti suini è registrato in Germania e Spagna (rispettivamente 28,3 e 26,6 milioni di capi), allevamenti di bovini in Francia (19,3 milioni di capi) e di ovini nel Regno Unito (23 milioni di capi).
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