Riflessioni della domenica
A volte la domenica suor Paolina ci invita alla preghiera nei villaggi. Suor Paolina ha più di 80 anni, è una donna dalla corporatura gracile, gli occhi azzurri che le irradiano il volto e i capelli bianchi legati in un elegante chignon. Ci incontriamo alla parrocchia di Naoi e a bordo del suo Land Rover Defender lasciamo la casa delle Suore del Sacro Cuore per raggiungere uno dei villaggi che circondano Moroto. Questa domenica andiamo verso Rupa, una sub-county a nord di Moroto e vicino al confine con il Kenya. Costeggiamo la grande montagna che da il nome alla città e mano a mano che ci allontaniamo il clima e il paesaggio diventano più ventosi e aridi. Sulla strada incontriamo grandi camion pieni di marmo grezzo e camionette dei militari. Il villaggio in cui si tiene la preghiera è infatti l’ultimo di Rupa, al confine con una miniera di marmo al cui ingresso bisogna passare per un posto di blocco militare. Suor Paolina ci spiega che fino a pochi anni prima la preghiera la facevano nel villaggio all’interno della miniera, ma che poi la maggior parte della gente arrivava ubriaca e quindi ora la messa viene celebrata sotto una tettoia pochi metri prima del posto di blocco.
Quando siamo arrivati le persone erano già sedute sulle panche di legno all’ombra della tettoia e seguendo l’ospitalità Karimojong alcuni di loro si sono alzati per farci sedere. Per fortuna c’è un vento gentile che affievolisce il sole cocente dell’equatore. Quando la messa comincia c’è sempre una grande emozione. Iniziano canti, battiti di mani e tamburi, le donne fanno l’akikare (l’urlo tipico Karimojong), e l’aria si riempie di gioia. La messa è interamente in Karimojong, quindi a parte qualche parola sparsa quà e là non capisco molto.
Personalmente non è per la messa o la preghiera il motivo per cui vengo in questi villaggi la domenica, ma più per l’occasione di stare al contatto con la gente e la comunità. Durante la messa infatti si canta tutti insieme, ci sono bambini e capre che scorrazzano sotto il tavolo che fa da altare e c’è la possibilità di incrociare sguardi timidi delle persone che in un primo momento appaiono culturalmente distanti da noi, ma dopo alcuni istanti passati a più stretto contatto si capisce che nella sostanza siamo tutti uguali e un sorriso è sufficiente per iniziare a capirsi. Dopo la messa suor Paolina ci ha portato nel villaggio all’interno della miniera.
Erano le 12 del mattino e molte persone, già sotto gli effetti della birra locale, ci hanno accolto allegramente cantando e ballando. Le grandi cave di marmo erano giusto dietro al villaggio. Suor Paolina ci ha spiegato che le imprese private pagano 100.000 scellini ugandesi, circa 25 euro, per un camion pieno di marmo grezzo; e che una persona guadagna al giorno 4.000 scellini, l’equivalente di 1 euro. Nonostante ciò, la richiesta di manodopera è alta e attrae molte persone provenienti anche dal vicino Kenya e Sud Sudan.
Nella miniera lavorano anche molti bambini e durante il lavoro pesante non è raro che ci siano degli incidenti. Mentre ero lì e osservavo come cercavano di far esplodere un grande masso con un fuoco per ricavarne dei sassi più piccoli e facili da trasportare. Pensavo al ripiano in marmo della mia cucina in Italia e a come in Europa non ci si soffermi abbastanza sulle catene di produzione e allo sfruttamento che sta dietro alla maggior parte degli oggetti che ci permettono di vivere una vita agiata.
Alma Rosa Pareschi, Casco Bianco con Africa Mission a Moroto, Uganda.