SELEZIONI SERVIZIO CIVILE: scialli (ma non troppo)
Tempo di selezioni nelle sedi degli enti di Giovani in Sevizio Civile Universale. Tempo di chat sui social a chiedere consigli. Tempo di calendari di appuntamenti e commissioni di selezionatori che si riuniscono. Ci facciamo un idea di questo fondamentale “step” che separa il giovane dalla realizzazione del suo obiettivo: partire con il Servizio Civile.
In queste settimane successive alla chiusura del bando SCU 2019, i social (Facebook in particolare) sono pieni di messaggi, domande e risposte sul passaggio che preoccupa molti: la selezione per i progetti di servizio civile. Si va dal ragazzo sicuro di essere preso perché unico candidato su quella sede (sicuro? e se risultassi “non idoneo”?), a quelli stressati perché non è ancora comparsa sul sito dell’ente la convocazione con il proprio nome. Soprattutto però le domande vertono sul colloquio: cosa chiedono, come è meglio rispondere.
In questo scambio spontaneo tra candidati ed ex volontari dei vari enti particolare è il tono di verità assoluta che assumono le risposte e le indicazioni di chi ha già fatto l’esperienza: “Ti chiedono cosa faresti se avessi una bacchetta magica!”, “Ti chiedono tutta la storia del servizio civile”, “I colloqui durano 20 minuti“, “Devi essere lì fin dal mattino, anche se ti hanno convocato nel pomeriggio”. E poi ecco il mantra finale, valido per tutti e per qualunque selezione: “Andate scialli, è una cosa super tranquilla!”
Questo è quanto si dicono i giovani candidati. Ma gli enti? Chi deve selezionare cosa pensa e cosa cerca? In particolare per i progetti SCU all’estero, la selezione è così una passeggiata? Lo abbiamo chiesto a chi questo mestiere lo fa da tempo e non solo seleziona, ma anche forma e poi monitora i giovani selezionati nel loro percorso di servizio. Sono quindi risorse che verificano nel tempo la validità delle loro scelte e hanno un’osservatorio ampio rispetto alle esperienze di servizio proposte.
Marco, che ha un’esperienza importante di selezione del personale di cooperazione internazionale, sottolinea che la cosa che apprezza meno in un candidato SCU è la poca umiltà: “Alcuni si sentono in posizione di forza perché hanno un percorso formativo completo alle spalle, sono concentrati sulle competenze tecniche che possiedono e le ritengono più che sufficienti. Invece, l’esperienza insegna che ciò che serve nei nostri progetti SCU in Africa e America Latina è soprattutto la capacità di ascolto, il mettersi a disposizione.” Infatti, gli aspetti che vengono indagati in sede di colloquio sono anche relativi alle proprie capacità personali: “Chiedo spesso al candidato di raccontarmi una situazione di difficoltà che ha vissuto e come l’ha gestita. Lo faccio perché sono consapevole che le difficoltà (logistiche, di inserimento..) in un’esperienza SCU nei Paesi in Via di Sviluppo non mancano mai, e spesso mi capita di incontrare poca lucidità e consapevolezza nel leggere se stessi. Una cosa che a volte i candidati non capiscono è che la selezione SCU la realizziamo pensando ai giovani, il nostro focus sono loro, non tanto i progetti in cui saranno inseriti. Una cosa che aiuta molto in selezione è quando il candidato ci conosce, magari ha fatto già un tirocinio con noi, o comunque si è informato su chi siamo e cosa facciamo: è più facile comprendersi e dare risposta ai reali interessi del giovane”.
Risposte sulla stessa linea arrivano anche quando chiediamo ad Elena cosa cerca in un colloquio SCU e lei risponde, senza esitazione “La capacità di reggere una esperienza del genere in realtà realmente difficili: Balcani, Palestina, Africa.. Poi, cerchiamo condivisione, o almeno rispetto della componente valoriale dell’ente, non tanto le competenze professionali (che a volte ci sono e a volte no). Avere avuto qualche esperienza breve all’estero, o esperienze di convivenza, o di sperimentazione personale sono elementi potenzialmente positivi in queste selezioni: a volte in questi contesti o ci sei già stato o fai fatica a capirne le complessità e se sei pronto ad inserirti positivamente.”
Anche per Paolo la tenuta psicologica del candidato è importante: “Per l’ente di invio seguire il volontario nel suo percorso è un grande investimento di energie e di tempo, che facciamo volentieri credendo in questa esperienza. Ma il compito diventa arduo quando i volontari si dimostrano fragili e quando di fronte allo stress del contesto o ad una aspettativa che si scontra con una realtà diversa, fanno fatica ad adeguarsi e a dimostrare resilienza. Un’altro aspetto che cerchiamo particolarmente” continua Paolo, che stato a suo tempo un Casco Bianco, “è una buona capacità relazionale, che si rivelerà cruciale nel rapporto con l’OLP (n.d.r. Operatore Locale di Progetto, il tutor del volontario, che nei progetti SCU all’estero è spesso una persona locale, dunque di un’altra cultura). E poi, certamente, la motivazione: il campanellino di allarme in selezione suona spesso con chi prima del colloquio non si è documentato per niente su paese di destinazione. Ciò dimostra poco interesse e troppa superficialità. Il prezzo da pagare per questa leggerezza è uno scontro più duro con la realtà una volta inseriti nel progetto”.
Sintesi: ragazzi, andate scialla, ma non troppo.
Per dovere di cronaca, c’è poi un’altro dibattito in corso nei corridoi del Dipartimento delle Politiche Giovanili e del Servizio Civile: la selezione per il Servizio Civile Universale ha ancora senso? “C’è chi sostiene che dovrebbe essere annullata, che gli enti dovrebbero accogliere chiunque” afferma Lucia De Smaele, Responsabile Ufficio Servizio Civile FOCSIV, “e che per essere veramente universale il servizio dovrebbe essere garantito a tutti. Ma è un modo sbagliato di guardare il processo: la selezione è un servizio al candidato, non qualcosa contro di lui. E’ dare la possibilità ad un giovane di fare l’esperienza per la quale è pronto, anche dal punto di vista umano e personale. I progetti di impiego non sono tutti uguali e noi che ci occupiamo soprattutto di Sevizio Civile all’estero nei PVS lo sappiamo bene. Crediamo non abbia senso far partire per un anno di servizio in contesti difficili chi non ha ancora gli strumenti per vivere l’esperienza in modo sereno e fruttuoso, in primis per se stesso. Sarebbe bello se, prima di operare scelte radicali, ci fosse un’occasione di scambio su questo tema tra enti e Dipartimento: azzerare in modo frettoloso e semplicistico il processo di selezione avrebbe l’effetto di renderebbe non più realizzabili tante esperienze di SCU nella cooperazione internazionale. E credo sarebbe una grossa perdita, per gli enti, ma soprattutto per i nostri giovani.”