Semaforo verde per le 30.000 vittime di Chevron/Texaco in Ecuador.
Dopo 8 mesi di attesa, il 4 Settembre scorso è stata finalmente emessa dalla Corte Suprema del Canada la sentenza cruciale per l’Unión de Afectados y Afectadas por las Operaciones Petroleras de Texaco (UDAPT). Da Quito ci racconta questo avvenimento Anna Berti Suman, volontaria in Servizio Civile FOCSIV.
La Corte all’unanimità ha riconosciuto la propria giurisdizione sulla domanda avanzata dalle 30.000 vittime. Il fine era l’omologazione della sentenza emessa dalla Corte Provinciale d’Appello di Sucumbíos nel 2012 che condannava il gigante del petrolio a una compensazione a favore delle vittime di ammontare pari a 9.510 milioni di dollari per la distruzione intenzionale dell’Amazzonia Ecuadoriana perpetrata nel corso di più di 30 anni.
Grande è l’esultazione de los afectados che ormai lottano da 22 anni per ottenere il riconoscimento del disastro ambientale nonché un’equa riparazione. Tuttavia il verdetto della Corte (http://scc-csc.lexum.com/scc-csc/scc-csc/en/15497/1/document.do) è solo il primo passo verso tale traguardo: Pablo Fajardo, avvocato ecuadoriano delle vittime, ricorda che ora è necessario procedere con la richiesta di omologazione della sentenza da parte della Corte Canadese. Solo allora infatti si potrà avviare l’esecuzione dell’obbligazione sugli attivi che Chevron possiede in Canada, al fine di iniziare il complesso percorso di riparazione del danno ambientale, culturale e sociale provocato dall’impresa statunitense.
Perché aprire un caso in Canada se una condanna è già stata proclamata nel Paese dove l’ecocidio ebbe luogo?
La risposta appare evidentemente legata alla strategia della multinazionale: solo poche centinaia di dollari rimangono degli attivi che un tempo la Chevron aveva in Ecuador ma che ha prontamente provveduto a dislocare altrove.
La Corte affronta principalmente due questioni, oggetto di impugnazione da parte della Chevron in risposta alla sentenza della Corte di Appello di Ontario del 17 Dicembre 2013, In primis, si interroga se e sotto quali condizioni essa abbia giurisdizione per decidere sul riconoscimento e sull’esecuzione della sentenza della Corte Ecuadoriana. In secondo luogo, analizza la sussistenza di giurisdizione sulla filiale della multinazionale, Chevron Canada.
Relativamente alla prima impugnazione, la posizione che l’impresa petrolifera difende è la necessità di una connessione reale e sostanziale tra gli imputati o la materia della controversia e la Corte di Ontario, sia che si tratti di un giudizio di prima istanza sia che si tratti – come in questo caso – di un’azione volta all’omologazione di una sentenza straniera. La Corte brillantemente contesta tal argomentazione sottolineando la differenza tra un giudizio nel merito, in cui si genera un’obbligazione, e uno di mera facilitazione all’esecuzione di un’obbligazione già esistente. Nella seconda ipotesi, infatti, il solo requisito perché si abbia giurisdizione è che la Corte straniera che ha emesso la sentenza da omologare presenti una connessione reale e sostanziale con le parti in causa o con la materia originale del contendere o che siano soddisfatti i tradizionali requisiti della giurisdizione [75]. Pertanto, essendo la Chevron il debitore risultante dalla sentenza straniera, non è necessario dimostrare una connessone reale e sostanziale tra gli imputati o la materia della controversia e il foro di Ontario. L’atto di notificazione sulla base della sentenza straniera effettuato nei confronti della Chevron presso la sua sede centrale in California è sufficiente per garantire la giurisdizione della Corte sulla multinazionale. Ragionando diversamente – spiega la Corte – si minaccerebbero i diritti del creditore ad ottenere soddisfazione delle proprie obbligazioni contratte con controparti transnazionali.
Dalla decisione emerge l’atteggiamento “generoso” che la Corte del Canada ha da tempo assunto nel riconoscere sentenze straniere. Interessante è la trattazione che la sentenza offre rispetto al concetto di “obbligazione universale” che a sua volta è intrinsecamente legato al principio di rispetto reciproco tra giurisdizioni (the principle of comity). Degno di nota è il passo in cui la Corte afferma: “the obligation created by a foreign judgment is universal, each jurisdiction has an equal interest in the obligation resulting from the foreign judgment, and no concern about territorial overreach could emerge” [Held].
Appare dunque chiaramente l’intento della Corte di ricorrere agli strumenti del diritto privato internazionale, contestualizzandoli alla luce della realtà attuale, e di ragionare “alla velocità” a cui viaggia la dinamica degli affari. In un mondo globalizzato caratterizzato da transazioni finanziarie che rapidamente attraversano i confini degli Stati, limitare le possibilità di esecuzione per un creditore al paese nel quale il crimine è stato perpetrato sarebbe non solo irrealistico ma anche profondamente ingiusto. E’ necessario infatti – prosegue la Corte – che la globalizzazione degli affari non sia a detrimento dei diritti dei singoli ma anzi a loro beneficio. A volte per questi ultimi non vi è altro modo di ottenere riparazione se non appunto rivolgendosi a Corti straniere. Solo una presa di coscienza tale da parte delle Corti a livello mondiale può permettere di intessere relazioni economiche internazionali in un clima di equità e prevedibilità [51;52; 69].
“Che nessuna corte al mondo esegua la sentenza”
Risalta all’occhio la posizione opposta di tale Corte rispetto a quello della Corte Newyorkese che, sotto il giudice Kaplan, nel 2011, proclamò l’ordine globale che la sentenza Ecuadoriana non venisse eseguita da nessuna Corte al mondo. Essa veniva infatti denunciata come fraudolenta in quanto emessa da un giudice, nel caso il giudice Zambrano, falsamente accusato di essere stato corrotto dall’avvocato delle vittime Steven Donziger. La Corte riporta tale allegazione al punto [7] della sentenza, senza però ammetterla come elemento condizionante la propria decisione finale. Pertanto l’intento della impresa petrolifera di estendere la decisione della Corte statunitense erga omnes viene così fermato. Humberto Piaguaje, coordinatore dell’UDAPT, esulta al verdetto della Corte, che considera come una dimostrazione dell’effettiva indipendenza e sovranità di ogni sistema giudiziario dall’altro.
Per quanto riguarda la seconda questione relativa alla giurisdizione sulla filiale indiretta di settimo livello della multinazionale, particolarmente interessante è il ragionamento della Corte. Mentre secondo Chevron Canada anche laddove fosse affermata la giurisdizione sull’impresa madre, comunque non si avrebbe giurisdizione sulla filiale in quanto essa non era parte in causa nella sentenza ecuadoriana. La Corte, invece, respinge questa argomentazione sostenendo il fulcro della controversia in questione non è il danno provocato in Ecuador quanto invece l’ammontare complessivo dei beni di Chevron che possono essere suscettibili di esecuzione. Sotto questa prospettiva, risulta evidente che Chevron Canada sia direttamente oggetto del procedimenti in quanto tale filiale possiede attivi reali nella Provincia di Ontario – stimati per un valore di circa 15.000 milioni di dollari – e presenta una relazione economica significativa con l’impresa madre. Inoltre la filiale è stata correttamente notificata, sia dove si trova la sua sede centrale, nella Colombia Britannica, che dove si trovano i suoi reali affari, in Mississauga, Ontario. Pertanto vi è giurisdizione secondo il tradizionale criterio della presenza. Tuttavia la Corte avverte che, in virtù del principio di indipendenza della sussidiaria dalla casa madre, l’esecuzione contro Chevron non comporterà automaticamente un’analoga misura verso Chevron Canada. Sarà pertanto necessario analizzare se le azioni di Chevron Canada siano sostanzialmente attribuibili al debitore risultante dal giudizio. Solo in quel caso la Corte potrà legittimamente farne oggetto di esecuzione, superando così il “velo societario” (“corporate veil”) che nasconde i beni di Chevron sotto il nome della sua sussidiaria [95].
I due motivi di impugnazione da parte di Chevron e Chevron Canada vengono pertanto respinti con costi a carico degli appellanti. La Corte avverte però che il riconoscere la giurisdizione sia su Chevron che su Chevron Canada però è diverso da omologare la sentenza e quindi riconoscere che essa possa essere eseguita. L’UNAPT pertanto attende ancora lo sviluppo del caso per gridare vittoria.
La sentenza esorta ancora una volta la multinazionale ad abbandonare la strategia della dilazione ad infinitum della controversia fino all’esaurimento delle risorse delle vittime. Amazon Watch, un’organizzazione ambientalista statunitense, sottolinea che il verdetto dimostra a Chevron e ai suoi azionisti che, invece di continuare ad investire per contestare l’accusa, la compagnia farebbe meglio ad assumersi la propria responsabilità per il danno causato e permettere l’esecuzione sui suoi beni partendo da quelli presenti in Canada. Inoltre, la decisione ha forti implicazioni per le multinazionali canadesi i cui affari generano un impatto sull’ambiente e sulla società nel mondo. Il “velo” che separa le sussidiarie dalle colpe delle imprese madri sembra dissolversi: le prime possono essere oggetto di esecuzione per obbligazioni delle seconde anche laddove l’impresa madre non abbia alcuna connessione reale e sostanziale con il foro dell’esecuzione. Non solo, la sentenza canadese è solo il preludio di una decisione che potrebbe creare un forte precedente: se la Corte si pronuncerà a favore delle vittime, il caso assurgerà ad esempio della lotta contro i giganti del petrolio, a dimostrazione che la giustizia ambientale esiste e valica i confini nazionali.