“Siamo quello che mangiamo”, la crisi silenziosa

Fonte immagine: “OnuIitalia.com”
Ufficio Policy Focsiv – La crisi alimentare continua ad essere un dibattito globale, un argomento che riguarda i singoli cittadini, i contadini, la grande produzione e distribuzione, gli Stati. In un’epoca in cui la pubblicità e l’industrializzazione sono al vertice del mercato, le soluzioni più etiche ed ecologiche, anche se esistenti, sono difficili da applicare (Sovranità alimentare in Africa: a che punto siamo?)
“Fino a quando il mercato ci imporrà cosa e perché consumare, la crisi alimentare non potrà essere risolta”, afferma la professoressa Patricia Guirre durante la conferenza sui sistemi alimentari sostenibili e giusti (vedi in(152) Sistemas Alimentarios Sustentables y Justos: Culturas, Paisajes, Producción y Distribución – YouTube) Riassumiamo qui di seguito alcuni temi del dibattito della conferenza a cui abbiamo partecipato.
Al fronte di questo importante tema, le organizzazioni non governative lavorano nella sinergia tra il sistema alimentare e il sistema economico-politico. Questa sinergia produce determinate forme di organizzazioni sociali e organizzazioni sociopolitiche, ma anche una maniera specifica di cucinare e mangiare; dimostrando come l’alimentazione è il fattore pre-patologico che produce delle specifiche maniere di ammalarsi e morire.
Possiamo dire quindi che il sistema alimentare in sinergia con il sistema economico-politico produce una epidemiologia specifica; ovvero, “noi mangiamo come viviamo e viviamo come mangiamo.”
Vediamo il sistema alimentare come un sistema aperto, con livelli differenti, con una relazione tra il micro e il macro. Per lavorare sull’alimentazione continuiamo ad usare la comunità di analisi nel micro, perché quando si tratta di alimentazione, la famiglia è il luogo in cui si producono la maggior quantità di eventi alimentari e anche i più significativi.
Quello che vediamo ad esempio in Argentina, e nel mondo, è che l’alimentazione è in crisi.
È una crisi paradossale, perché ci sono più alimenti di quelli necessari per nutrirsi e permettere una buona alimentazione. Al mondo siamo 8miliardi di persone e produciamo alimenti per 10 miliardi. Non solo possiamo nutrire tutto il mondo ma abbiamo anche il lusso di poter cambiare.
È una crisi paradossale anche perché è una crisi silenziosa. Si tratta di una crisi paradossale, strutturale e terminale, perché -come ci segnalano i biologi e gli psicologi- sembra che il cambiamento climatico sia l’esempio di quello che abbiamo distrutto, come le capacità auto depurative dell’ecosistema.
Nella produzione troviamo una crisi di disponibilità, perché la sostenibilità è in discussione, la qualità della produzione agroalimentare attuale si basa sui carboidrati, gli zuccheri e i grassi, che sono gli alimenti che i nutrizionisti classificano come quelli non necessari in grandi dosi. Ma la dieta di tutto il mondo, oggi, si sostiene energeticamente tramite quelli.
La formula del mercato per incentivare la produzione agroalimentare mostra energia a basso costo e micronutrienti cari.
Attraverso quindi un modello estrattivista che favorisce un’agricoltura tossica, non solo per l’abuso delle sostanze chimiche, come i fertilizzanti e i pesticidi, ma anche di antibiotici per la nutrizione animale. Implicando per il sistema e i consumatori, un abuso antibiotico e una resistenza ad esso, a causa di un sopruso degli antibiotici che inconsciamente mangiamo; contaminando anche i mari e di conseguenza la pesca. Questo modello estrattivista di produzione dei nostri alimenti ci sta realmente uccidendo e al contempo stiamo divorando il pianeta.
I nostri alimenti hanno il carattere dei mercati, e come dice Milton Friedman: “il mercato produce disuguaglianze, perché così stabilisce il flusso.” La logica della distribuzione di essi si basa sulla capacità di comprare e guadagnare senza però considerare la vera necessità della popolazione.
Rispetto al consumo abbiamo una crisi di commensalità perché l’industria agroalimentare che dà potere alle grandi tenute -che sono i grandi concentrati dell’industria della produzione mondiale degli alimenti- per collocare le merci sul mercato utilizzano la pubblicità degli alimenti come il punto di lancio che genera i valori che spiegano cosa e perché consumare.
Oggi l’industria devasta i valori del passato, i valori degli alimenti e dell’ambiente e li rimpiazza per garantire gli interessi del mercato, che aggiusta la domanda all’offerta.
Sono quindi gli schermi (delle TV e dei social) ad insegnarci cosa mangiare, proponendo la necessità del commerciante e non la necessità del produttore.
Oggi, trovandoci in un mondo globalizzato, le soluzioni alla crisi alimentare devono essere simultaneamente locali e globali. Perché i modi di produrre, distribuire e consumare sono stati globalizzati. Stando a degli studi la nostra epoca non è né locale e né globale me entrambe le due cose, è “glocale”.
Per questo motivo le soluzioni devono essere innanzitutto glocali, possono essere sia istituzionali che individuali. Bisogna quindi interfacciarsi sia con il micro che con il macro.
I micro-alimenti si basano sulla cultura della quotidianità, mentre il macro sulla cultura delle istituzioni.
Nonostante la crisi alimentare sia un argomento complesso esistono già soluzioni per ogni problema, come l’agroecologia nella produzione, l’amplificazione dei beni pubblici nella distribuzione, la deroga della pubblicità di propaganda per le informazioni nell’ambito del consumo, al fine di una notizia informativa e non pubblicitaria. Esistono anche proposte globali come il 30×30 dell’ONU, o la proposta degli oceani silvestri.
Per cambiare la distribuzione abbiamo bisogno di recuperare il diritto all’alimentazione, diritto che nessuno mette in dubbio ma che pochi promuovono. Bisogna cambiare tutti i modelli alimentari. Per fare questo abbiamo bisogno di molto lavoro scientifico, senza guardare al passato, dobbiamo costruire nuovi valori e nuove tecnologie all’altezza di questa epoca. Non possiamo vivere senza l’industria ma possiamo regolarla per far si che si occupi di un mercato salutare.
Uno degli obiettivi principali è quindi la necessità di recuperare il diritto all’alimentazione, non solo come posizione etica ma in tutte le sue dimensioni: permettendo quindi di avere l’autonomia di alimentarsi da soli e di alimentare gli altri. Dobbiamo recuperare il diritto all’alimentazione come sicurezza, come posizione etica, come concettualizzazione teorica e come metodologia, innalzando i valori della sostenibilità, equità e solidarietà.
Bisogna produrre il nostro cibo in maniera sostenibile. Distribuirlo in modo equo e consumarlo in maniera solidale. Le soluzioni per limitare la grande crisi silenziosa ci sono, ma non sono applicate.
In conclusione, i partecipanti alla conferenza ci tengono a ricordare che il cibo deve essere un bene primario comune e non deve essere trattato come una comodità o un privilegio.