Storie dal campo: il pinocchio romeno
“Come ogni mattina Alina si sveglia senza sapere che ore siano. La casa è vuota, saranno andati a cercare qualche lavoretto in campagna o qualche spicciolo in giro. Alina esce e alla piazza del mercato ci sono Sami e Ionut sulla panchina che masticano i semi di girasole. Sua sorella maggiore Mihaela è appoggiata al muro del fast food, allunga una mano e fissa i clienti con un sorriso malizioso aspettando che qualcuno le dia un “covrig” (tipico pane rumeno simile al Bretzel), o un leu (la valuta locale) dal resto della pizza.
Alina si volta e di fronte a sé guarda la statua del celebre Ioan Cuza alle cui spalle si erige la sua scuola. Un edificio severo, chiuso da marzo a causa del Coronavirus. Qualcuno dei suoi compagni, di quelli del gruppo sempre-vestiti-bene e con astuccio-pieno-di-penne-colorate le ha detto che ha seguito le lezioni da casa. A lei questa cosa non interessa visto che a lei a casa nessuno le ha detto nulla e non ha né tablet, né connessione internet.
Questa situazione ha i suoi lati positivi: niente levatacce alla mattina presto, niente interminabili ore di regole e problemi matematici irrisolvibili. Ora può stare in piazza sulla panchina tutto il giorno. Le viene in mente quando dalla statua i volontari del Centro Pinocchio le davano la colazione. Loro erano simpatici e sorridenti, sempre. Anche se la merenda non era come l’avrebbe voluta (non c’erano mai delle patatine), poteva calmare il brontolio dello stomaco. Le davano per lo più tè, biscotti, panini e frutta. Le volontarie dicevano che erano più “sanatos”. Tra di loro c’era una biondina tedesca molto gentile con una bella rosa colorata tatuata sul polpaccio. Meglio di quei nomi neri sbavati che tatuava suo fratello nei momenti di noia. A marzo c’erano 6 volontarie straniere ma poi alcune erano ritornate nel loro paese. Le avevano detto per il Coronavirus. Non aveva capito però bene. Sapeva che la sua vita era cambiata negli ultimi mesi.
Non c’era più la scuola, ma soprattutto non c’era più il doposcuola né il pranzo e la merenda al Centro Pinocchio. Prima ogni giorno all’uscita di scuola si percorreva la strada cercando di indovinare che cosa avrebbero trovato di buono preparato da Doamna Mihaela. Aveva imparato benissimo che per prima cosa ci si lavava le mani e poi si andava a tavola. Si entrava nella sala e tutto era pronto: il pane nei cestini, i loro bicchieri con i nomi, le caraffe d’acqua e il piattone di cibo. Che fame a ripensarci. Per fortuna dal Centro Pinocchio le portavano ogni tanto dei pacchi alimentari. E Doamna Monica, l’educatrice, ci infilava dentro anche qualche vestito, fogli da colorare e pennarelli. Le piaceva così tanto colorare.
Quando il Centro era aperto si divertiva anche a fare i compiti, a volte. Ma poi si giocava, si usavano le perline, si ritagliava, si incollava. A volte facevano la pizza o i biscotti. Le dicono che riaprirà, dipende dal virus. Non ha capito bene. Ora sta sulla panchina.
Molti bambini che vivono ai margini stanno perdendo il loro diritto alla scuola e al cibo. Il Centro Pinocchio a Panciu, con il contributo del Comune e delle raccolte fondi, ha distribuito pacchi alimentari alle famiglie più povere. Vorremmo continuare a farlo e per questo c’è bisogno di sostegno per l’acquisto dei generi alimentari.”
Quella di Federica Gruppioni dell’Organismo socio IBO Italia è una delle tante “storie dal campo” raccolte nell’ambito della campagna FOCSIV – Caritas Italiana “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”: moltiplicare la speranza è possibile attraverso una donazione in sostegno degli interventi proposti dagli organismi promotori.
Scopri di più visitando il sito della campagna
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