Sussidi green: e il Sud del Mondo?
Fonte immagine da Marco Verch/CC BY 2.0
La nuova corsa green tra Stati Uniti e Unione Europea rischia di lasciare indietro i paesi in via di sviluppo.
Ufficio Policy Focsiv – Questa notizia è tratta da un articolo di Rachel Thrasher* del 10 febbraio 2023 su Social Europe** Green subsidies: what about the global south? (socialeurope.eu) ed espone le scelte discutibili di Europa e Stati Uniti di agire nella lotta ai cambiamenti climatici in maniera individuale, poco coordinata e miope nel non tener conto dei paesi del Sud del Mondo, che invece avrebbero più bisogno di supporto, finanziario e tecnologico, per resistere a impatti sicuramente più devastanti, rischiando così di venir meno agli impegni presi durante la COP27 di novembre 2022.
La crescente competizione tra Stati Uniti, ed Europa, mette in crisi il multilateralismo e rischia di distorcere anche l’aiuto pubblico allo sviluppo utilizzandolo per promuovere rapporti privilegiati con i paesi impoveriti più utili ai propri fini (come ad esempio l’accaparramento dei minerali critici) (si veda Pubblicazioni Landgrabbing – FOCSIV e sull’aiuto pubblico allo sviluppo Generazione Cooperazione – FOCSIV e home – campagna 070).
*Rachel Thrasher è una ricercatrice della global economic governance initiative del Boston University Global Development Policy Center.
**Social Europe è uno dei principali editori europei di media digitali e un forum per il dibattito e il pensiero innovativo, fondato da Henning Meyer, e tratta principalmente questioni di economia, politica, lavoro e occupazione. Social Europe è pubblicato da Social Europe Publishing & Consulting GmbH[3] con sede a Berlino.
Il mondo sta a guardare mentre gli Stati Uniti e l’Unione Europea si impegnano in discussioni tese sulle loro nuove misure unilaterali di politica climatica. Sebbene i loro sforzi individuali siano lodati, specialmente da coloro che hanno lamentato la mancanza di leadership climatica da parte degli Stati Uniti e dell’UE sin dalla firma dell’accordo di Parigi più di sette anni fa, essi non si trovano d’accordo sui meccanismi appropriati per affrontare il problema globale della crisi climatica.
Inoltre, la lotta ai cambiamenti climatici non è semplicemente una questione di politica interna. Mentre gli Stati Uniti e l’UE continuano a perseguire un’azione per il clima aggressiva a livello nazionale/regionale, non devono trascurare l’essenziale supporto tecnologico e finanziario di cui i paesi in via di sviluppo hanno bisogno per fare lo stesso. Il Carbon Border Adjustment Mechanism-(CBAM) dell’UE recentemente approvato, e l’Inflation Reduction Act (IRA) degli Stati Uniti potrebbero inavvertitamente fare proprio questo.
Un approccio controverso
Entrambe le iniziative hanno ricevuto la loro giusta dose di attenzione, che ha sottolineato le opportunità e le carenze di approcci così contrastanti all’azione per il clima. Da un lato, il CBAM, che equivale a una tassa sul carbonio imposta sulle importazioni nell’UE, potrebbe peggiorare la disparità di reddito e la distribuzione del welfare, se non ben progettata, tra economie ricche e povere. D’altra parte, l’IRA, in quanto insieme di nuove politiche industriali, è un approccio molto più controverso, poiché coinvolge grandi quantità di fondi pubblici – sussidi – per costruire industrie di tecnologia green, dai veicoli elettrici ai prodotti a energia rinnovabile e una miriade di altri settori.
I sussidi da soli possono essere controversi, in quanto tendono a dare un vantaggio ai prodotti nazionali rispetto ai concorrenti importati. Le sovvenzioni offerte dall’IRA, sono inoltre categoricamente vietate dalle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), poiché sono legate al reshoring (rilocalizzazione, ndr) delle catene di approvvigionamento verso gli Stati Uniti e i suoi partner commerciali.
Le disposizioni di reshoring dell’IRA appaiono anche come una mossa chiaramente anti-cinese, rendendo la sua attuazione un’ulteriore politica esplicita di esclusione della Cina dalla corsa globale per ridurre le emissioni attraverso lo sviluppo industriale green. Allo stesso tempo, l’IRA non include finanziamenti per sostenere i paesi più vulnerabili dal punto di vista climatico, un divario evidente alla luce della crescente importanza di fornire fondi per perdite e danni ai paesi vulnerabili dal punto di vista climatico, come promesso al vertice sul clima delle Nazioni Unite lo scorso novembre in Egitto.
Preoccupazioni espresse
I leader europei hanno espresso preoccupazioni per l’IRA, incluso il fatto che l’UE possa beneficiare di eccezioni dato che non ha un accordo commerciale con gli Stati Uniti, nonché per l’impatto negativo che l’IRA potrebbe ancora avere sulle economie europee (da qui la recente proposta della Commissione europea per una politica industriale regionale, che si contrappone a quella statunitense, ndr, si veda The Green Deal Industrial Plan (europa.eu) e Politica industriale europea, aiuti di Stato e fondi della Ue | Notizie Geopolitiche). E l’Europa è lungi dall’essere l’unica regione con queste preoccupazioni.
Anche la Corea del Sud, il Giappone e l’India hanno parlato dei potenziali impatti dell’IRA sulle loro industrie: il funzionario indiano responsabile del vertice del G20 a Nuova Delhi a settembre, Amitabh Kant, l’ha definito “l’atto più protezionista mai redatto al mondo’. L’India e l’Indonesia hanno iniziato a rispondere con i propri programmi industriali orientati al mercato interno: il “Make in India” e la restrizione dell’Indonesia sulle esportazioni di nichel.
Allo stesso tempo, i leader europei sono pronti a reagire all’IRA con politiche industriali altrettanto aggressive. Sebbene l’UE abbia trascorso gran parte del 2022 concentrandosi sulla messa a punto e sull’attuazione del CBAM, il presidente francese, Emmanuel Macron, il primo ministro belga, Alexander de Croo, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, hanno tutti recentemente chiesto un indebolimento dei vincoli sugli aiuti di Stato, per promuovere politiche mirate alle imprese di tecnologie green. Anche l’inviato statunitense per il clima, John Kerry, ha incoraggiato l’UE ad aumentare la sua “spesa verde”.
Dato che l’UE è stata storicamente piuttosto severa riguardo ai sussidi da parte degli Stati Membri, proporre di versare euro in investimenti strategici industriali green indica un netto cambiamento di mentalità. È un chiaro segno che l’UE non vuole essere lasciata indietro nella nuova trasformazione strutturale, anche se ciò significa probabilmente andare contro i propri impegni di accordi commerciali.
Obiettivi condivisi
Alcuni hanno sostenuto che una posizione industriale così aggressivamente green da parte degli Stati Uniti e dell’UE andrà a vantaggio di tutti, riducendo il prezzo e aumentando l’accesso alla tecnologia essenziale. Come altri hanno notato, ciò ha già portato i paesi in via di sviluppo a vederci una finestra aperta per la definizione della propria politica.
L’impatto a lungo termine di questi sforzi, tuttavia, è incerto. Né l’IRA né l’UE con il suo CBAM e le politiche industriali green proposte sembrano prendere in considerazione le sfide uniche che si trovano ad affrontare i paesi più vulnerabili dal punto di vista climatico e gli impatti delle nuove tariffe e dei sussidi dei paesi ad alto reddito sugli obiettivi climatici e di sviluppo dei paesi a basso e medio reddito. Le politiche climatiche unilaterali dovrebbero essere modificate per aiutare la comunità internazionale a raggiungere obiettivi climatici e di sviluppo condivisi.
In primo luogo, le nuove tariffe, come quelle del CBAM, dovrebbero essere accompagnate da meccanismi per la distribuzione dei flussi di entrate ai paesi che hanno bisogno di aiuto con la transizione energetica. In secondo luogo, le politiche industriali, come quelle descritte nell’IRA, devono includere meccanismi per trasferire rapidamente le tecnologie di recente sviluppo e condividere le conoscenze con i paesi che necessitano di resilienza climatica per allinearsi alla diversificazione e ad uno sviluppo economico sostenibile. Inoltre, i programmi di sussidi interni devono essere accompagnati da fondi accantonati per le economie meno sviluppate e in via di sviluppo che devono finanziare le proprie azioni di mitigazione e adattamento al clima e la ripresa dai disastri climatici, come promesso nei più recenti impegni presi da parte del mondo in Egitto.
Il mondo ha bisogno di una trasformazione economica strutturale al pari della rivoluzione industriale del XIX secolo. A meno che gli Stati Uniti e l’UE non affrontino concretamente le esigenze dei paesi in via di sviluppo, questi saranno comunque lasciati indietro, mettendo a rischio non solo la loro stabilità finanziaria e il benessere umano, ma anche la capacità della comunità globale di raggiungere un futuro resiliente ai cambiamenti climatici.