Terra per pochi
Foto credit PixabayUfficio Policy Focsiv – Nel quadro dell’attenzione che Focsiv dedica al tema del land grabbing (https://www.focsiv.it/category/pubblicazioni/pubblicazioni-landgrabbing-pubblicazioni/) riprendiamo qui l’articolo apparso su Agrifoodtoday (Chi sono i nuovi latifondisti che si stanno accaparrando le terre in Europa (agrifoodtoday.it) relativo al fatto che in Europa sta diminuendo il numero di aziende agricole, che tendono a diventare più grandi e concentrate in poche mani, coltivando monocolture che riducono la biodiversità e l’accesso dei giovani alla terra. La Ong Via Campesina propone quindi all’Ue una direttiva per limitare a 500 ettari la quantità massima di terreni posseduti. Altrimenti rischiano di sparire agricoltura familiare, foreste e tanti alimenti tipici locali.
Grandi aziende agricole, banche ma anche politici e società di assicurazione. Questo il profilo dei nuovi latifondisti, che in Europa stanno concentrando nelle loro mano superfici sempre più grandi di terreni. E non sempre la finalità è quella della produzione di alimenti. Stiamo assistendo da anni ad una generale riduzione delle terre coltivabili, con sviluppi urbani insostenibili e pericolosi sul piano idrogeologico, mentre quelle a disposizione tendono anche ad essere acquistate da pochi soggetti, che con la produzione di cibo spesso non hanno né legami storici né intenzioni di tutela.
Il ramo europeo dell’organizzazione Via Campesina, ONG che tutela piccoli produttori e famiglie di agricoltori attenti a pratiche agroecologiche, per frenare questo fenomeno e promuovere invece un incremento del numero degli agricoltori/proprietari terrieri, ha proposto all’Unione europea di fissare un limite massimo di 500 ettari posseduti da un solo proprietario, che si tratti di un privato, una banca o una società per azioni. Si tratterebbe di un modo per preservare il modello mediterraneo di produzione degli alimenti.
Modello “multinazionali” nei campi
Secondo le stime dell’organizzazione, in Europa appena 9,1 milioni di aziende agricole gestiscono 157 milioni di ettari di terra, pari al 38% dei terreni dell’Ue (dati Eurostat 2020). Se il numero di imprese si è ridotto, visto che nel 2003 ce n’erano 15 milioni, aumenta al contempo la dimensione media di queste imprese. Via Campesina vede la concentrazione fondiaria come motivo di preoccupazione per diversi motivi. In primis economico: le distorsioni tipiche delle multinazionali si hanno anche nella proprietà di terreni, nel momento in cui dominano pochi soggetti. In secondo luogo si rischia di perdere qualità nel cibo, visto che su grandi appezzamenti si tende a coltivare solo ciò che conviene di più a livello economico, abbandonando invece colture più specifiche e/o meno redditizie, ma fondamentali per la biodiversità rurale.
Stress ambientale
C’è poi un problema ambientale. I latifondisti possono avere maggiore tendenza a distruggere le foreste e i boschi presenti sui loro terreni per ampliare ulteriormente le loro produzioni. Tra i risultati della concentrazione c’è anche una grande meccanizzazione ed il ricorso a tecnologie “escludenti”, spesso troppo complesse per personale non specializzato. A farne le spese è l’ambiente, con i suoli sottoposti a stress eccessivo. Questa visione è stata confermata anche da un parere del Consiglio economico e sociale europeo, anch’esso preoccupato da fenomeni di accaparramento, che starebbero distruggendo il modello tipico dei Paesi del Mediterraneo, legato a produzioni di tipo familiare con appezzamenti piccoli e diffusi sui territori.
Le distorsioni della Pac
Le ragioni di questa concentrazione, sottolinea Via Campesina, va ricondotta anche alla Politica Agricola Comune (Pac), visto che concede aiuti in base agli ettari posseduti, spingendo così gli agricoltori ad espandersi o a rinunciare. Anziché aiutare l’agricoltura, le distorsioni della Pac avrebbero causato una serie di danni: aumento dei prezzi della terra, riduzione della ricchezza prodotta per la collettività e rinnovo generazionale a rilento, nonché accelerazione del degrado ambientale. Esempio tipico è quello dell’Ungheria, dove negli ultimi 20 anni 1 milione di ettari è stato acquisito da banche, fondi sovrani e compagnie di assicurazione, nonché da politici vicini al presidente Viktor Orbàn. La terra come investimento sicuro grazie ai fondi dell’Ue.
Spariscono i contadini
L’Italia, seppur con le sue peculiarità, non è esente da queste problematiche, anche se la sua conformazione impedisce il susseguirsi di appezzamenti enormi e contigui. “Sta sparendo il modello familiare tipico del nostro Paese ed in generale dell’area del Mediterraneo a favore di un modello gestito dai gruppi finanziari”, ha dichiarato ad AgriFood Today Maria Panariello di Terra!, associazione impegnata in progetti di agricoltura sociale e solidale. “Questo fenomeno provoca una distorsione nei diritti dei lavoratori, nella qualità dei cibi e tende a disgregare il tessuto economico dei piccoli centri rurali”, ha sottolineato. La tendenza anche nello Stivale è quella di andare verso il modello tipico di alcune aree della Spagna, dove distese infinite di serre che coltivano pomodori e frutti rossi sono ormai nelle mani di pochi gruppi bancari e speculativi.
Nuove generazioni in stallo
Il problema dell’accaparramento è legato a filo doppio a quello del mancato accesso alla terra da parte dei giovani. Come si legge nel report “Gioventù frustrata“, redatto dalla stessa associazione Terra!, nel 2020 i capi azienda fino a 40 anni rappresentano appena il 9,3%, del totale. Un dato in calo rispetto all’11,5% del 2010. Gli ingressi dei giovani in agricoltura sono stati quindi molto pochi e tendono a ridursi. “I finanziamenti specifici della Pac e dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare (Ismea) sono pochissimi. A dedicarsi all’agricoltura sono quindi soprattutto le persone che ereditano terre dalle famiglie”, ha evidenziato Panariello. Le eccezioni provengono ad esempio da persone prima impiegate nel terzo settore o da chi ha una disponibilità economica personale e decide di investirla acquistando un terreno, ma spesso senza poter accedere ad incentivi statali. Da qui deriva una frustrazione generalizzata.
La soglia
Via Campesina suggerisce di creare un vero e proprio quadro europeo di politica fondiaria, sia al fine di incrementare il numero di agricoltori con piccoli appezzamenti, sia per programmare l’autonomia produttiva e la resilienza degli Stati membri in materia agroalimentare. Al momento le disposizioni in materia di terreni agricoli restano una prerogativa dei singoli governi, con regole e approcci molto diversi tra loro. Si pensi alla Romania che vanta invece un numero ingente di agricoltori che possiedono in gran parte terreni sotto i cinque ettari, con gestioni per larghi tratti di tipo collettivo. Per regolamentare le transazioni fondiarie e combattere la speculazione, come pure promuovere l’insediamento di giovani agricoltori, l’organizzazione propone una direttiva Ue affinché gli Stati membri proibiscano qualsiasi acquisizione di terreni agricoli oltre i 500 ettari. “Le aree di terreno agricolo superiori a 500 ettari saranno ridistribuite attraverso banche fondiarie pubbliche”, si legge nel documento diffuso. Un piccolo argine al latifondismo dei nostri giorni.
Censimento necessario
Rispetto a questo limite anche l’associazione Terra! si dichiara favorevole. “La proposta di Via Campesina aiuta a svecchiare l’agricoltura e ad evitare che si concentri nelle mani di pochi”, ha commentato a tal proposito Panariello, precisando che “l’altro problema che esaspera i giovani agricoltori è quello dello stato di abbandono e degrado in cui versano molti terreni senza che ne venga facilitato l’acquisto o l’affitto”. Anche in Italia quindi molti starebbero preservando la proprietà dei terreni, anche incolti, al solo scopo di accedere ai fondi della Pac. A questo si connette il problema di sapere quali suoli agricoli (o potenzialmente tali) appartengono allo Stato e potrebbero essere messi a frutto. “In molti comuni non si ha un censimento delle terre pubbliche, quindi non possono essere messe a bando per giovani agricoltori. Un lavoro di questo tipo, che ha avviato di recente il comune di Roma, permetterebbe anche di programmare meglio nei casi di crisi agroalimentare, come è avvenuto al momento dello scoppio della guerra in Ucraina”, ha concluso Panariello.