“TRANSIZIONE ECOLOGICA” non è “CONVERSIONE ECOLOGICA”
Quanto è verde, realmente, il Recovery Plan?
Di Mario Cirillo, volontario FOCSIV, esperto di pianificazione e valutazione ambientale
Il 30 aprile il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), conosciuto anche come Recovery Plan o Next Generation Plan, è stato inviato all’Unione Europea. Secondo me le novità più significative rispetto al documento elaborato dal precedente governo Conte e datato 12 gennaio 2021 sono due.
La prima è la premessa a firma di Mario Draghi, che si differenzia fortemente dalle prime pagine del documento del 12 gennaio (caratterizzate da più di qualche accento retorico) per una maggiore sobrietà nei toni e una incisività nello snocciolare alcune cifre – prevalentemente di carattere economico, ma anche sociale e ambientale – che evidenziano in tutta la loro drammaticità il declino del nostro Paese e il divario tra l’Italia e gli altri grandi Paesi dell’UE.
Tutto ciò mi sembra funzionale alla seconda parte della premessa, quella sul Next Generation EU, dove si argomenta come ineludibile la necessità di rimuovere gli ostacoli che hanno frenato la crescita del Paese e quella, concomitante, di rendere conto puntualmente alla UE dell’andamento delle riforme che renderanno possibile, tra l’altro, la realizzazione delle azioni previste nel PNRR nei modi e tempi previsti, consentendo così l’erogazione dei finanziamenti da parte dell’Europa. Insomma questi sono i paletti che incardinano e condizionano tutto quel che segue.
La seconda novità è l’ampio spazio dedicato al tema delle riforme, che nella precedente versione del PNRR era solo accennato. Questo punto è a mio avviso fondamentale, perché coglie il fatto che i progetti del PNRR – qualsiasi essi siano, sui quali si può essere d’accordo o meno – sono destinati a un sicuro fallimento in un contesto amministrativo, gestionale e pianificatorio quale quello attuale. D’altra parte – e mi pare che Draghi ne sia ben consapevole – questa è la scommessa più difficile, perché si tratta di fare in pochi mesi, al più qualche anno, delle riforme organiche che non si è riusciti a fare negli scorsi decenni, con un Paese e in particolare una classe dirigente che non sembrano essere nelle condizioni ideali per questa operazione. Peraltro cambiare approccio e stile del Paese e della classe dirigente è un processo lungo, non c’è tempo, per cui l’azzardo è rovesciare lo schema: fare le riforme per cambiare l’approccio, invece di lavorare a un cambiamento di approccio per poter fare delle riforme all’altezza. Veramente un azzardo, i cui esiti non sono per nulla scontati.
Per quanto riguarda i temi previsti dal nuovo PNRR non mi pare ci siamo profonde differenze rispetto al vecchio, e non potrebbe essere diversamente visto che l’agenda è dettata dall’Europa. Percepisco una maggiore enfasi sull’approccio tecnologico, che fa trapelare una forte fiducia sul fatto che “la tecnologia può risolvere qualsiasi problema”, e che mi fa venire alla mente il termine “tecnocrazia” utilizzato da Papa Francesco. E poi le grandi opere, l’alta velocità, tanto cemento e via dicendo. Insomma, una transizione ecologica che, almeno per ora, poggia in gran parte sull’attuale modello di sviluppo. Devo ammettere che questo non mi meraviglia per niente (più o meno era così anche nella precedente versione), del resto anche a livello europeo e mondiale la “transizione ecologica” segue grosso modo questa traiettoria. Chi ha dimestichezza con le Conferenze delle Parti per i cambiamenti climatici[1] sa che vi agiscono robusti e agguerriti gruppi di interesse e di pressione, che propongono e spesso impongono approcci e azioni per abbattere le emissioni di gas climalteranti in puro stile neoliberista. Insomma, cambiare tutto perché nulla cambi, per lo meno per quanto concerne il business e i flussi finanziari.
Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, prendo atto che oggi il tema ecologico è nell’agenda di tutto il governo e non soltanto in quella del Ministero dell’Ambiente (ora Ministero della Transizione Ecologica), cosa che fino a un anno fa era impensabile. Di questo dobbiamo “ringraziare” il COVID 19.
Resta il fatto che a livello mondiale l’unico leader che con coerenza invoca un vero cambiamento di paradigma – una conversione ecologica, non una transizione – è Papa Francesco.
Tra le riforme della Pubblica Amministrazione previste dal PNRR c’è la procedura di Valutazione dell’Impatto Ambientale (VIA), individuata come “collo di bottiglia” sia a livello di VIA statale (che interessa le opere più rilevanti) che di VIA regionale (che interessa le altre opere soggette a VIA). Questa riforma si inserisce tra quelle che hanno il fine di semplificare e accelerare le procedure direttamente collegate all’attuazione del PNRR, e va attuata attraverso interventi da realizzare in tempi rapidi, quindi a brevissimo.
Inefficienze e lungaggini nella procedura di VIA in Italia non mancano. Un motivo è la scarsa qualità degli Studi di Impatto Ambientale (SIA), che devono essere realizzati a cura del proponente l’opera: a diversi decenni dall’introduzione della VIA in Italia questo purtroppo è un fatto ancora frequente. Queste carenze nei SIA impongono da parte del valutatore l’avvio di faticose interlocuzioni, con richieste di integrazioni e quant’altro, in contesti comprensibilmente caratterizzati da forti pressioni trans-tecniche, e implicano inevitabilmente un allungamento dei tempi.
Certo accelerazione e semplificazione possono far balenare il retropensiero di un ulteriore indebolimento della procedura di VIA (che già non brilla particolarmente, anche a causa della menzionata scarsa qualità dei SIA), con maggiori possibilità di autorizzare impatti ambientali anche molto significativi.
Io credo che sia possibile in linea di principio accelerare e in generale efficientare la procedura di VIA senza nuocere alla sua funzione di eliminare gli impatti ambientali significativi, anzi migliorandone le prestazioni anche sotto questo profilo. Per ottenere questo è necessario una reale sinergia tra la VAS (Valutazione Ambientale Strategica, che in Italia valuta i piani e i programmi, in altri contesti valuta anche le politiche) e la VIA, nel senso che la VIA di opere che ne sono sottoposte trarrebbe grande vantaggio dalle VAS dei piani e programmi in cui le opere sono incardinate. Certo le VAS andrebbero fatte come si deve, e per questo è necessario che gli obiettivi di sostenibilità a livello nazionale siano corredati di target quantitativi, che dovrebbero essere adottati nella Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile e declinati anche a livello regionale e locale, e le VAS relative ai piani e programmi devono confrontarsi sistematicamente con questi target quantitativi. Attualmente la mancanza di tali target quantitativi rende la VAS una procedura di limitata utilità, fornendo argomenti a chi considera tali procedure delle inutili complicazioni burocratiche che hanno come unico effetto quello di allungare i tempi, quando invece una VAS ben fatta, oltre a verificare la sostenibilità dal punto di vista ambientale delle azioni previste nel piano, rende molto più agevoli, rapide ed efficaci le Valutazioni di Impatto Ambientale delle opere di pertinenza del piano/programma.
È chiaro che questa integrazione virtuosa tra VAS e VIA, in particolare con la definizione dei target di sostenibilità, implica tempi non compatibili con le autorizzazioni delle opere di cui si occupa il PNRR. C’è da augurarsi comunque che la problematica degli obiettivi di sostenibilità non venga trascurata, e trovi spazio nell’attività di riforma di maggior respiro.
E nell’immediato cosa si può fare? Nell’immediato va finalizzata l’adozione delle Norme Tecniche per la redazione degli Studi di Impatto Ambientale pubblicate a maggio 2020 dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA)[2], adozione prevista dalla normativa vigente: le modifiche normative introdotte con il Decreto Legislativo n. 104 del 2017 alla parte seconda del Testo unico dell’ambiente prevedono infatti che siano adottate, su proposta del SNPA, linee guida nazionali e norme tecniche per l’elaborazione della documentazione finalizzata allo svolgimento della valutazione di impatto ambientale. Tra l’altro le vecchie norme tecniche sulla VIA del 1988 non sono più in vigore, col risultato che attualmente chi realizza uno Studio di Impatto Ambientale non ha una normativa tecnica di riferimento; le conseguenze negative sulla procedura di VIA sono facilmente immaginabili.
Insomma, l’adozione delle nuove norme tecniche per la VIA sarebbe di enorme utilità sia per i proponenti che per i valutatori, ed è fondamentale per rapidizzare la procedura di VIA senza sminuirne l’efficacia, anzi incrementandola.
[1] La Conferenza delle Parti (COP) è il principale organo decisionale della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCC) approvata nel 1992, ha cadenza annuale e tutte le parti che vi aderiscono possono parteciparvi.
[2] Del Sistema Nazionale a rete per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), istituito con la legge numero 132 del 2016, fanno parte l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e le agenzie regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano per la protezione dell’ambiente (ARPA/APPA).