Una vespa, mille cicale
Come scrive il saggista Mirco Mariucci, nella sua opera “L’illusione della libertà”: “Un mondo migliore per tutti è possibile, qui e ora. Ma per costruirlo dobbiamo iniziare a cooperare, impiegando la nostra intelligenza per raggiungere l’unico vero e nobile fine: il benessere di tutti gli esseri viventi”.
Un inno al dovere che i quasi 16.000 cooperanti Italiani (dati rilevati dalle stime di Open Cooperazione del 2019), impegnati in progetti di cooperazione internazionale (1.887 nel territorio Italiano e 13.852 all’estero) e gli oltre 80.000 volontari attivi e del Servizio Civile, hanno sposato come ragione di vita, dando un energico contributo al sostentamento dei vari progetti proposti dalle numerose ONG impegnate in questa missione.
Con il passare degli anni, la cooperazione è diventata un vero e proprio settore professionale. Oggi è richiesta, nella maggior parte dei casi, una formazione specifica e professionale che contempli un diploma post laurea, la conoscenza di almeno due lingue straniere e un minimo di esperienza sul campo.
Da un punto di vista personale, non credo che tutti siano tenuti ad affrontare anni di studi e specializzazioni varie o partire per paesi distanti chilometri e chilometri, lontani anni luce dalla nostra cultura. Nessuno viene obbligato a fare un lavoro spesso sottopagato o magari non retribuito affatto; dove il pericolo, un furto o un rapimento possono essere all’ordine del giorno, aerei militari ti sorvolano la testa e bombe esplodono a pochi passi da te.
Non tutti dobbiamo passare ore ed ore ad osservare uno specchio d’acqua, con la speranza di trovare qualche naufrago che galleggia sul pelo del mare, o ancora, camminare nella notte alla ricerca di bambini di strada da aiutare o sfilare al fianco di donne che lottano quotidianamente per la propria parità di genere. Nessuno si deve sentire in dovere di farsi ferire emotivamente da morti ingiuste, dal racconto di un civile che non sa come sia una vita senza guerra, di una donna violentata per la brutalità maschile o di un immigrato quotidianamente sbeffeggiato per le proprie origini, la propria religione, le proprie tradizioni.
Nessuno è obbligato ad essere bersaglio delle frustrazioni della società occidentale, del “Perché parti? C’è tanto bisogno anche qua”, del “Stiamo spendendo i nostri soldi per loro”, del “Aiutiamoli a casa loro” di una politica egocentrica e meschina che, se non annusa l’odore del guadagno, non muove un dito, in un’era dove vige la regola che quello che è mio è mio e quello che è tuo è mio ugualmente.
Non è assolutamente necessario essere cooperanti per essere partecipi alla realizzazione di un mondo migliore, ma lottare quotidianamente per un cambiamento è compito di tutti noi. Sono proprio le piccole azioni realizzate giorno dopo giorno il motore per il raggiungimento del benessere per tutti gli esseri viventi: il senso civile, una corretta e sana sensibilizzazione, sottolineare quotidianamente comportamenti ed ideali poco utili e scorretti nei confronti di situazioni ed individui più sensibili ed emarginati di noi. Non possiamo sempre guardarci attorno facendo finta di niente o puntare in continuazione il dito verso il nostro vicino, lavandocene completamente le mani. Dobbiamo tenere a mente in continuazione che siamo noi gli attori della storia che verrà raccontata tra qualche anno e che, se vogliamo in futuro un mondo migliore, questo si potrà realizzare solo attraverso le azioni che compiamo ora.
Uniti o soli, non possiamo assolutamente permetterci di gettare la spugna. Dobbiamo essere portatori di sani principi e guerrieri nonviolenti di una battaglia costante al fine di ottenere un’equità universale, combattere per un mondo in cui il concetto di diversità viene utilizzato non come discriminante, ma come mezzo formativo per la nostra continua crescita.
Riguardo a me? Io sono Christian, un quasi giovane ragazzo, che vive nel nord-est d’Italia. Non sono un cooperante, sono un semplice cittadino, tanto curioso quanto ingenuo di capire come funziona quel brandello di terra immerso nell’universo dove siamo ospiti. Anni fa lasciai la mia vecchia cassetta degli attrezzi, la mia tuta da lavoro, la mia confort zone con la voglia di rimettermi in gioco. Sono da poche settimane un volontario in Servizio Civile Universale con l’Africa Chiama, in Kenya.
Non so ancora quale sarà il mio supporto come non so cosa mi aspetterà in questa nuova esperienza. Posso solo dirvi che sono partito con molti punti di domanda, consapevole che non troverò tutte le risposte. Dentro a quella vecchia valigetta degli attrezzi, svuotata da quei strani quanto complessi utensili meccanici, ho inserito delle cose molto semplici: i miei sani principi, la mia voglia di scoprire, la sicurezza di non salvare nessuno, la speranza di non creare troppi “danni”…
Christian Moret, Casco Bianco con L’Africa Chiama a Nairobi, Kenya