Verso la crisi del mercato dei crediti di carbonio?
Ufficio Policy Focsiv – Abbiamo già trattato dei crediti di carbonio quale strumento di mercato finanziario per incentivare le imprese a compensare le emissioni di carbonio sostenendo progetti di riforestazione, evidenziando i problemi che affliggono questa misura, vedi in Ma i crediti di carbonio funzionano? – Focsiv, tra cui la possibilità che vengano utilizzati senza tenere conto dei diritti dei popoli indigeni (Guyana: contrasti sui crediti di carbonio agli indigeni – Focsiv), quindi aumentando il fenomeno del land-grabbing (Pubblicazioni Landgrabbing – Focsiv). In questo contesto, il seguente articolo di Massimiliano Cassano in Crediti di carbonio, perché il mercato è in crisi | Wired Italia mostra come le debolezze di questo mercato ne stia causando una riduzione con imprese che rinunciano ad acquistare i crediti preferendo concentrarsi su una effettiva riduzione delle emissioni di carbonio.
La crescente sfiducia delle aziende verso i progetti di preservazione delle foreste volti a limitare l’aumento della temperatura globale e prevenire le conseguenze più estreme del cambiamento climatico ha fatto crollare il mercato dei crediti di carbonio. Nato durante la Cop 19 di Varsavia (la conferenza sul clima delle Nazioni Unite) dieci anni fa, lo schema Redd+ (acronimo di Reducing emissions from deforestation and forest degradation in developing countries, riduzione delle emissioni dalla deforestazione e degradazione delle foreste nei paesi in via di sviluppo), in virtù del quale le aziende possono acquistare titoli volontari di compensazione delle emissioni inquinanti investendo in programmi anti-deforestazione per contrastare i gas serra che generano, vede per la prima volta in sette anni una contrazione. Secondo i numeri diffusi da Ecosystem Marketplace, organizzazione senza scopo di lucro con sede a Washington che monitora la trasparenza dei programmi di sostenibilità delle società americane, nei primi sei mesi del 2023 il mercato ha subito una battuta d’arresto pari al 8%. Secondo i dati di Bloomberg Nef, un centro studi, si tratta invece del 6%.
Certamente sulla decisione degli imprenditori di cercare altri modi di mostrare il lato “green” del proprio marchio ha inciso lo scandalo che a inizio anno ha investito Verra, l’ente non profit incaricato di certificare la qualità dei programmi di produzione dei crediti di carbonio. Un’indagine durata nove mesi, pubblicata il 18 gennaio dalle testate The Guardian, Die Zeit e SourceMaterial, ha rilevato che il 94% dalla compensazione di emissioni legate alla foresta pluviale fornite da Verra – che rappresentavano circa il 40% dei crediti globali approvati dall’organizzazione – erano senza alcun valore. I diversi progetti di protezione delle foreste, in sostanza, non avevano prodotto i risparmi sulle emissioni promessi.
Il declino dei “crediti spazzatura”
L’inchiesta ha anche scoperto che la superficie boschiva sotto minaccia di deforestazione secondo i calcoli di Verra è stata sovrastimata in media del 400%. Dati avallati anche da uno studio pubblicato successivamente su Science. Inoltre, in alcuni casi i programmi hanno portato violazione dei diritti umani o semplicemente “spostato” la deforestazione in altri luoghi meno controllati. In uno dei siti del progetto Verra in Perù, i residenti si sono lamentati di essere stati sfrattati con la forza dalle loro case, che sono state poi demolite. Questa inaffidabilità del meccanismo sta generando un enorme quantità di “crediti spazzatura”, pari alle emissioni annue del Giappone, che nessuno intende più acquistare. Il declino è anche una brutta notizia per le nazioni più povere che contano molto sul flusso di capitali che le multinazionali forniti per finanziare progetti di mitigazione del clima.
Il Kenya, per esempio, sta cercando di diventare un hub per il commercio di compensazioni di carbonio che si basa principalmente su progetti come la piantumazione di alberi. “Un certo numero di studi negativi sui crediti di carbonio hanno causato abbastanza preoccupazione da indurre alcune aziende a sospendere gli acquisti e ad attendere maggiori indicazioni su quale tipo di crediti dovrebbero acquistare”, ha affermato su Reuters Stephen Donofrio, amministratore delegato di Ecosystem Marketplace. “Le aziende – ha però aggiunto – si stanno muovendo nella giusta direzione, nel senso che cresce la preferenza per crediti di qualità superiore e più costosi”. Come quelli legati alla decarbonizzazione della propria filiera interna.
Una via alternativa
Due colossi come Nestlé e Gucci sono state tra le prime aziende a diminuire l’acquisizione di questo tipo di titoli. La maison fiorentina ha cancellato dal suo sito la dichiarazione di carbon neutral, e, come riporta Reuters, secondo un suo portavoce la società “sta rivedendo la sua strategia climatica e i suoi impegni con l’obiettivo di ottenere l’impatto complessivo migliore”. Mentre la multinazionale alimentare fa sapere in una nota: “Ci stiamo allontanando dall’investimento in compensazioni di carbonio per i nostri marchi, per investire in programmi e pratiche che aiutano a ridurre le emissioni di gas serra nella nostra catena di fornitura”. Anche la compagnia aerea low cost EasyJet, che aveva acquistato compensazioni per la protezione delle foreste certificate da Verra, ha fatto sapere di aver tagliato gli investimenti in crediti di carbonio per concentrarsi sulla riduzione delle emissioni derivanti dai voli.
Sulla vicenda si stanno muovendo anche le istituzioni, preoccupate che questi programmi inaffidabili possano vanificare gli investimenti green delle aziende e rallentare la lotta al cambiamento climatico. Le Nazioni Unite e la Voluntary carbon markets integrity initiative (Vcmi), un’alleanza per certificare i crediti di carbonio, hanno suggerito alle società di non fare eccessivo affidamento su questo tipo di crediti, mentre il Parlamento europeo prevede di vietare l’uso di certificazioni di sostenibilità basate esclusivamente su indicazioni ambientali generiche a partire dal prossimo anno.