Verso uno scontro o un accordo europeo sulla questione migratoria? Comunque sarà sempre sulla pelle dei migranti senza “pedegree”.
Il 14 Settembre ci sarà un nuovo vertice dell’Unione europea sulla questione migratoria, chi vincerà tra oltranzisti ed equilibristi? Tra i paesi membri dell’Est e la coalizione italo-tedesca e francese? Ma soprattutto, da tutto ciò, chi perderà di più?
Nell’ultimo periodo di fine agosto e inizi settembre è avvenuta una forte accelerazione degli eventi: dalle tragedie umane dei migranti che continuano a morire lungo i loro viaggi, agli scontri politici tra i governi dei paesi membri dell’Unione europea.
Il problema non è solo italiano: i flussi dei migranti seguono piste diverse, non esiste solo il Canale di Sicilia. I migranti si muovono verso la Grecia, e poi i paesi balcanici, l’Austria, l’Ungheria, verso la Germania e il Nord europa. Si imbucano a Calais, per cercare di passare dalla Francia all’Inghilterra attraverso il tunnel della manica. E lungo questi viaggi muoiono. Sulle spiagge turche come il piccolo Ayan, o sul camion frigorifero in Austria, tragedie che hanno scosso l’opinione pubblica mondiale ed europea. Ecco allora che da un lato emerge la pietas europea, che si oppone alla xenofobia e al cinismo dei partiti di destra, e dall’altro la consapevolezza che così le politiche proprio non funzionano e che non si può più aspettare. Diversi politici conservatori tedeschi e della Gran Bretagna hanno chiesto alla Merkel e a Cameron di accogliere i profughi. La Merkel ha aperto, scontrandosi con i partiti di estrema destra, e Cameron ha concesso un aumento dei reinsediamenti ma mantenendo un fermo no su una redistribuzione europea dei profughi già entrati. Si vedrà se questo è un fuoco di paglia, visto che l’ondata emozionale mediatica ha sempre un effetto solo momentaneo, o se si assisterà a un posizionamento più deciso dei partiti tradizionali contro il razzismo, evitando rincorse verso le posizioni più retrive per scopi elettorali. I precedenti non sono favorevoli. Comunque, oramai è riconosciuto che il problema non è solo italiano. L’agenda europea sulle migrazioni proposta a Maggio e ancora sul tavolo dei negoziati, verrà ripresa in mano questa settimana. E si prevede un vertice dei ministri degli interni dei paesi membri per il 14 Settembre, dopo che la Commissione avrà rilanciato l’agenda con un nuovo piano che illustrerà Junker il 9 Settembre.
Il regolamento di Dublino non è più un tabù: ad Agosto la Germania della Merkel ha sospeso il regolamento nel caso dei profughi siriani. Essi non vengono più respinti, anche nel caso in cui siano stati registrati nel primo paese di approdo. Ma contemporaneamente vengono richiesti più controlli alle frontiere e la creazione di centri di identificazione e registrazione più grandi ed efficienti (gli hotspots): l’Italia ha risposto con più controlli nel caso del Brennero. Solo in questo modo, con più controlli e con maggiori rimpatri di chi non ha diritto all’asilo, sarà possibile fare accettare la proposta della redistribuzione obbligatoria dei migranti tra i paesi membri. La Germania prevede un afflusso di 800.000 richiedenti asilo nel 2015 con una spesa prevista del suo sistema di accoglienza di circa 6 miliardi di euro. L’Agenda europea sulle migrazioni presentata a Maggio proponeva il ricollocamento di 40.000 richiedenti asilo dall’Italia e dalla Grecia verso i diversi paesi membri, secondo alcuni criteri oggettivi. Troppo poco di fronte ai numeri degli afflussi previsti.
Lo spazio Schengen è in pericolo e con esso uno dei capisaldi dell’Unione europea. Con il ristabilimento dei controlli lungo i confini interni dell’Unione europea, si sospende di fatto anche l’Accordo di Schengen, la libertà di circolazione. Le grandi rappresentanze della compagnie di trasporto europee hanno protestato perché i TIR vengono sempre più spesso fermati e controllati, perché si creano ritardi nelle consegne, vengono messe a rischio le catene di fornitura, i costi aumentano con il pericolo che si traducano in maggiori prezzi per i consumatori. Ecco che allora anche il mercato comune si incrina. In questo modo verrebbero scalfite le fondamenta dell’UE. E questo non si può permettere. Ciò significa maggiori controlli sulle frontiere esterne e per alcuni paesi (ad esempio Ungheria ma anche Bulgaria), costruzione di muri. Per inciso ciò avviene anche dentro l’UE tra la Francia e l’Inghilterra (che non fa parte dello spazio Schengen) con la costruzione di un quarto recinto di filo spinato attorno all’imbocco del Tunnel della manica.
Si allarga la crepa tra paesi occidentali ed orientali all’interno dell’UE: i paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), seppur con toni relativamente diversi, sono contrari all’obbligatorietà della redistribuzione dei richiedenti asilo e chiedono maggiori risorse per controllare le frontiere esterne e creare gli hotpots anche nei paesi di transito non appartenenti all’UE, in particolare nei Balcani occidentali, potenziando i rimpatri. Accusano la Germania di favorire l’attrazione dei flussi, è lei quindi che deve pagare e rivedere anche le sue condizioni di accoglienza per ridurre l’effetto attrazione (i richiedenti asilo ricevono un sussidio di circa 800 euro al mese). Nella distribuzione delle risorse chiedono una maggiore attenzione per le rotte orientali assieme a quelle del Mediterraneo, e più cooperazione allo sviluppo e di sicurezza verso i paesi di origine. Ma alcuni loro leader politici, i premier dell’Ungheria e della Slovacchia in particolare, rinfocolano lo scontro di civiltà quando contestano l’entrata di migranti musulmani, preferendo quelli cristiani.
Si costruiscono muri ai confini con i paesi vicini: l’Ungheria con la Serbia e la Bulgaria con la Turchia edificano muri veri e propri per contrastare l’entrata di migranti irregolari, che si aggiungono a quelli esistenti in Grecia e in Ceuta e Melilla. Alcuni paesi europei contestano la costruzione di questi muri, ma la sostanza non cambia. I controlli sulle frontiere vengono intensificati. Tutti chiedono un potenziamento di Frontex e una maggiore collaborazione tra le polizie. Evidente l’ambiguità nella risposta che il Commissario europeo Avramopoulos ha dato ad un giornalista sui muri: “Qualsiasi cosa sia, siamo contrari agli ostacoli. Ma d’altra parte dobbiamo proteggere i confini europei”. La polemica politica sui migranti cristiani e musulmani scava ulteriori muri con i paesi islamici, rivelando un profondo problema culturale e ideologico. I paesi dei Balcani occidentali saranno dichiarati sicuri per ridurre i richiedenti asilo che provengono da loro. Tutto ciò mentre si dichiara che occorre aumentare la cooperazione allo sviluppo per ridurre le cause economiche e sociali delle migrazioni, e rafforzare la politica europea di sicurezza e difesa, così come la politica estera in generale, per contribuire di più alla risoluzione dei conflitti in Siria e in Libia, senza però entrare nel merito della coerenza tra le politiche.
Da questa note emergono visioni parzialmente distinte tra oltranzisti e equilibristi, contraddizioni ed ambiguità.
Gli oltranzisti avanzano una visione di Europa vincolata ai nazionalismi, di chiusura ai flussi salvo i richiedenti asilo ma in maniera molto rigida; edificazione di muri e imposizioni di controlli alle frontiere esterne, immaginando anche accordi con qualsiasi tipo di regime di un paese confinante per fermare i flussi e rimpatriare che non ha diritto, pur di ristabilire ordine e stabilità; ma rinfocolando al medesimo tempo lo scontro di civiltà tra supposti popoli cristiani e musulmani.
Gli equilibristi tra più solidarietà e più responsabilità, riconoscono il diritto all’asilo ma in maniera discriminatoria (solo per alcune nazionalità) e rigida (più controlli sulle effettive motivazioni, che peraltro sono sempre più difficili da districare considerando il mix tra motivi di persecuzione, sociali, culturali ed economici), prevedendo più rimpatri e un sistema di centri di riconoscimento alle frontiere, e richiamando alle loro responsabilità i paesi membri (in particolare Italia e Grecia, ma anche l’Ungheria), in modo da poter rendere accettabile il ricollocamento obbligatorio dei richiedenti asilo tra i diversi paesi.
I punti di accordo sono tutti relativi al controllo dei flussi, con o senza muri, la sostanza non cambia. La distribuzione del carico dei richiedenti asilo tra obbligatorietà e volontarietà forse potrà essere superata con una negoziazione sui criteri e sulle risorse, soprattutto nel caso in cui, come sembra da alcune informazioni, la proposta della Commissione preveda non più 40.000 ma ben 120.000 ricollocamenti, venendo incontro alle richieste ungheresi. Rimane la questione del Regolamento di Dublino che però con la rottura del tabù potrebbe essere affrontata prevedendo il mutuo riconoscimento tra i paesi membri del riconoscimento dello status di rifugiati, nel momento in cui venisse effettivamente creato un cordone di centri di riconoscimento funzionanti. Insomma, forse, in qualche modo, un accordo sulla gestione interna dei flussi si potrà trovare. La politica di accesso sarà quindi molto selettiva e verranno aumentate le operazioni di rimpatrio. I migranti “senza pedigree”, ovvero quelli che non rientreranno negli standard stretti di nazionalità e motivazioni, verranno ricacciati nei paesi di origine, sempre che la cosa sia in realtà fattibile. Si rischia quindi di creare una situazione nella quale i migranti non accettati ingrosseranno le fila degli irregolari, mentre continueranno i viaggi della morte di tutti quelli fuori standard.
Resta in alto mare il problema del rapporto con i paesi vicini e di origine dei flussi, delle operazioni di reinsediamento e creazione di corridoi umanitari, dei migranti per motivi economici e sociali (che sono pari a circa il 60% dei flussi), e più in generale dello sviluppo e dei conflitti.
A fronte di questa situazione, una visione alternativa praticabile, date le attuali condizioni politiche, è necessaria per dare voce ai principi umanisti e cristiani, perché tutto si gioca sulla pelle dei migranti. Questi alcuni punti di orientamento.
Il diritto all’asilo non può essere discriminatorio sulla base della nazionalità, ma deve essere riconosciuto ad ogni singola persona.
La creazione del cordone di hotspots rischia di creare un Mediterraneo di centri di detenzione. L’identificazione deve essere garantita con alti standard di rispetto dei diritti umani. Questi centri possono essere creati solo laddove esistono queste condizioni e con l’accesso delle organizzazioni di difesa dei diritti umani.
La ricollocazione dei richiedenti asilo può avvenire solo se l’identificazione avviene in tempi celeri e se si può applicare il mutuo riconoscimento per assicurare la volontà del migrante di poter circolare liberamente dentro l’UE.
E’ condivisibile la proposta di potenziare l’EASO creando una vera e propria agenzia europea per i rifugiati per assicurare il rispetto dei loro diritti e condizioni comparabili di accoglienza ed integrazione nei diversi paesi membri.
Potenziare le operazioni di reinsediamento assieme ai sistemi diffusi di accoglienza come lo SPRAR
Ma restano le questioni di fondo dello sviluppo e dei conflitti, tanto all’interno quanto all’esterno dell’UE.
L’accoglienza senza integrazione, lavoro e un sistema di welfare adeguato rischia di creare, e sta già creando, situazioni esplosive a livello sociale e politico. Il problema demografico europeo e l’importanza dei flussi per motivi di lavoro esigono un piano di lungo termine, oltre l’attuale crisi. Non si può ridurre tutto al diritto d’asilo. L’’integrazione è intrecciata al rilancio dello sviluppo europeo, e va di pari passo con una politica di investimenti economici e sociali orientati all’inclusione. La finanza è inondata di liquidità, ma le politiche di austerità e una imprenditoria asfittica non smuovono l’economia reale. E’ su questo che ci si deve concentrare per uno sguardo più profondo e a medio periodo sulle migrazioni. La questione migratorie deve essere affrontata nel quadro del rilancio dello sviluppo europeo.
Il governo dei flussi migratori deve essere realizzato in stretta cooperazione con i paesi di origine e di transito, avendo come riferimento tanto lo sviluppo europeo quanto quello di questi paesi. La cooperazione allo sviluppo ha un ruolo centrale che deve essere maggiormente riconosciuto, non in termini strumentali rispetto all’esigenza di controllare i flussi, ma in quanto contributo importante ai bisogni economici e sociali dei paesi del Sud. Sapendo che una loro crescita non riduce i flussi ma li rende maggiormente praticabili. Ecco allora che la crescita del Sud deve andare di pari passo con misure di mobilità verso l’Europa in un’ottica di co-sviluppo. Solo in un orizzonte di sviluppo reciproco è possibile far fronte alla questione migratoria. E questo significa mettere al centro il raggiungimento dei nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile, la riforma della finanza per l’economia reale, la sua trasformazione per garantire lavoro dignitoso per tutti e il rispetto dell’ambiente.
Nei paesi in conflitto vanno sostenute le iniziative di soluzione pacifica, non dimenticando le responsabilità che hanno avuto alcuni paesi europei nell’accendere la miccia. La politica europea di sicurezza e difesa va riformata in chiave nonviolenta. I programmi di protezione e sviluppo regionale sono uno strumento importante, ma devono prevedere tra le possibili soluzioni durevoli per i profughi, oltre all’integrazione locale, al reinsediamento e al ritorno quando possibile, anche la mobilità a livello locale e internazionale. Infine non vanno scartate le diverse possibilità che si aprono per condurre a risoluzione i conflitti: ad esempio potrebbe essere accettata la proposta del governo di Tripoli (quello non riconosciuto dalla comunità internazionale) di realizzare una conferenza regionale sulle migrazioni, considerando l’obiettivo di arrivare ad un governo unitario di transizione per la Libia.
Di Andrea Stocchiero, policy officer FOCSIV